domenica 19 settembre 2021

cosa è un: HOME RESTAURANT ?

Un ​Home Restaurant è uno spazio, normalmente privato, che grazie all’iniziativa e l’intraprendenza di chi ama cucinare diventa luogo d’incontro occasionale per amici, viaggiatori o semplicemente sconosciuti che hanno interesse a condividere ricette, sapori autentici e specialità oltre che sperimentare una nuova occasione di socialità

L’Home Restaurant è, a tutti gli effetti, un comparto della c.d. Industria 4.0 e nello specifico, un’espressione del “Social Eating”.

E’ possibile nel nostro ordinamento avviare un Home Restaurant? I Fondamenti giuridici e la libertà d’iniziativa economica privata.

L’Articolo 41 della Costituzione

L’Iniziativa economica è una libertà tutelata dalla Costituzione Italiana all’Art. 41 che recita:

L’iniziativa economica privata è libera.Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali – cfr. art.43.

Art. 41 Costituzione Italiana

La norma in esame riconosce e allo stesso tempo legittima l’iniziativa economica privata.

  • Il secondo comma introduce dei limiti alla libera iniziativa economica dati dai principi dell’utilità sociale e dalla necessità di garantire la sicurezza, la libertà e l’iniziativa umana.
  • Il terzo comma impone allo Stato di adottare misure legislative che garantiscano il raggiungimento dei fini che si propone lo stesso articolo 41 della Costituzione.

Da questa norma discendono sui cittadini diritti ed obblighi da rispettare.

Per quanto concerne il versante dei diritti, dall’articolo 41 derivano una serie di facoltà pacificamente riconosciute dall’ordinamento giuridico.

Gli individui hanno la facoltà di poter scegliere l’attività economica da intraprendere; ovviamente ciò non esclude che l’iniziativa debba sottostare a condizionamenti amministrativi riguardanti diversi profili dell’attività:

  • Il se: può essere previsto un controllo d’idoneità del candidato ad una certa attività
  • Il come: può essere previsto l’inserimento dell’impresa in un settore soggetto a specifici controlli pubblici
  • Il dove: può essere prevista l’esclusione di certe attività in determinate zone per la tutela di altri diritti più a rischio, come ad esempio quello ambientale

Allo stesso modo è costituzionalizzata la facoltà di reperire investimenti e di organizzare le risorse dell’attività.

E’ altresì riconosciuta la facoltà di portare avanti le attività lecitamente iniziate per tutelare il singolo ma anche il libero mercato e la concorrenza, con una particolare attenzione agli obblighi assunti con l’adesione all’Unione Europea.

Infine, dall’art. 41 della costituzione ne discende la facoltà di richiedere un compenso congruo per i beni ed i servizi prestati, purché giustificato dai costi sostenuti. 

Nessun operatore economico deve essere danneggiato o costretto ad uscire dal mercato perché altri abusano della loro posizione dominante.

Grazie alla tutela riconosciuta a ciascuno dall’Art. 41 della Costituzione, se un’attività economica non è ancora coperta da una fonte avente rango di Legge Ordinaria, questa situazione di vuoto normativo non si traduce automaticamente in un divieto di poter avviare tale attività.

Lo Stato, solo nel momento in cui se ne verifichino i presuppostipotrà vietare o limitare alcune attività economiche.

Si noti inoltre che con l’ingresso nell’Unione Europea, l’Italia ha ceduto una parte significativa dell’iniziativa economica che le era riservata vantaggio di questo Comunità sovrastatale.

L’Unione Europea ha più volte esortato l’Italia ad intraprendere delle azioni favorevoli al settore degli Home Restaurant.

L’UE guarda alla Sharing Economy ma l’Italia volta le spalle

Gli Home Restaurant sul territorio italiano sono fioriti in modo spontaneo. Si è assistito a una loro crescita esponenziale, affermandosi appieno come realtà economica (si stimano 14.000 Home Restaurant su tutto il territorio). 

Quanto avvenuto in Italia riflette il naturale percorso che queste realtà economiche hanno intrapreso non solo sul nostro territorio, ma a livello mondiale.

La Sharing Economy è un fenomeno che si pone come naturale risposta alle nuove esigenze economiche di un tessuto sociale in cambiamento!

Concentrandoci sul continente europeo, esempio rilevante non solo per vicinanza geografica ma soprattutto per i vincoli a cui l’Italia soggiace facendo parte dell’UE, si possono osservare paesi come la Francia dove la realtà degli Home Restaurant è pienamente affermata.

In tal senso è doveroso aprire una digressione sull’Agenda​ ​Europea​ sull’​Economia​ ​Collaborativa (Sharing Economy)

La​ ​Commissione​ ​Europea​ ​ritiene​ ​che​ la Sharing Economy​ ​darà un ​contributo rilevante ​alla​ ​crescita​ ​dell’economia dell’Unione​ ​Europea e che andrà a integrare un importante vantaggio per​ ​i​ ​Consumatori​ che potranno così accedere a ​ ​nuovi​ ​servizi e ad un’offerta​ ​più​ ​ampia​ ​a​ ​prezzi​ ​più​ ​competitivi.

Allo​ ​stesso​ ​tempo,​ queste nuove forme di economia​ ​solleva​no ​questioni sulla loro applicazione​ ​nel​ ​quadro​ ​normativo​ ​vigente. 

L’Industria 4.0 mette in crisi le definizioni tradizionali: ​ ​le distinzioni​ ​tra​ ​consumatore​ ​e​ ​prestatore​ ​di​ ​servizi,​ ​lavoratore​ ​subordinato​ ​e​ ​autonomo ​si sono sempre di più assottigliate creando una iniziale​ ​incertezza sulle​ ​norme​ ​applicabili.

Questa iniziale incertezza, ormai superata da tantissimi stati europei in cui l’attività di Home Restaurant è riconosciuta, in Italia è stata incancrenita sia da approcci​ ​divergenti​ ​da​ parte di diversi organi statali e locali, sia dalle associazioni private di categoria che invece che rispondere adeguatamente a queste nuove realtà economiche non hanno fatto altro che impedirne la crescita creando ancora più confusione a scapito non solo degli Home Restaurant, ma anche dei loro stessi associati.

I Disegni di Legge ed i tentativi di Normazione della Disciplina 

Nel corso degli anni si sono avvicendati diversi disegni di legge in materia di Home Restaurant ma nessuno di questi è riuscito a trasformarsi in legge. 

Tra i progetti di legge sull’Home Restaurant, quello dell’onorevole Minardo, il n. 3258 del 28/07/2015 unitamente ai disegni n. 3337-3725-3807, è stato approvato il 17 gennaio 2017 dalla Camera nel testo unificato n. 2647. 
Tale disegno di legge però subisce la dura bocciatura dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, pubblicata a pag. 39 del Bollettino N. 13/2017, e difatti non è mai stato approvato al Senato.

Il Garante difatti ha osservato che: 

“Il legislatore intende introdurre nell’ordinamento giuridico italiano una disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata (home restaurant), la quale, nell’ambito dei servizi partecipati che compongono la sharing economy, risulta essere in forte espansione anche nel nostro Paese, per la forte propensione, soprattutto delle nuove generazioni, ad aprire la propria casa e a condividere la cultura enogastronomica nostrana” 

PP. 39 SS. Bollettino 13/2017 – AGCM

Secondo il Garante per la Concorrenza nel disegno di legge n. 2647 il legislatore “introduce limitazioni all’esercizio dell’attività di home restaurant che non appaiono giustificate”.

Da sottolineare come il Garante non fa altro che rispettare le previsioni di legge del nostro ordinamento e le norme dell’Unione Europea​ per la quale ​i​ ​prestatori​ ​di​ ​servizi​ ​possono​ ​essere​ ​subordinati​ ​ai​ ​requisiti​ ​di accesso​ ​al​ ​mercato​ ​o​ ​ad​ ​altri​ requisiti/oneri/limitazioni,​ ​come​ ​i​ ​requisiti​ ​di​ ​licenza,​ ​soltanto​ ​se​ ​tali​ ​requisiti sono​ ​​non​ ​discriminatori,​ ​necessari​ ​per​ ​conseguire​ ​un​ ​obiettivo​ ​di​ ​interesse​ ​generale​ ​e proporzionati​ ​rispetto​ ​a​ ​tale​ ​obiettivo​​, ossia ​non​ ​possono imporre​ ​più​ ​obblighi​ ​di​ ​quanto strettamente​ ​necessario. 

Divieti​ ​assoluti​ ​e​ ​restrizioni​ ​quantitative​ ​all’esercizio​ ​di​ ​un’attività​ ​costituiscono​ ​misure gravi​ da​ ​applicarsi ​solo​ ​nel caso in cui ​non​ ​sia​ ​possibile​ ​conseguire​ ​un​ obiettivo legittimo di​ ​interesse​ ​generale​ ​con​ ​una​ ​disposizione​ ​che sia meno​ ​restrittiva. 

Inoltre,​ ​nel​ ​caso​ ​di​ ​in​ ​cui​ ​il​ ​diritto​ ​di uno Stato Membro​ preveda​ ​legittimamente​ ​che i​ ​prestatori​ ​di​ ​servizi​ ​debbano ottenere​ ​un’​autorizzazione​,​ è lo Stato che deve ​provvedere a garantire condizioni chiare proporzionate ed obbiettive.

Di cosa ha bisogno il settore?

Tutto questo si traduce nell’obbligo per lo Stato Italiano, nel caso in cui prevedesse di subordinare l’attività di Home Restaurant all’ottenimento di permessi, licenze o altro, di stabilire procedure trasparenti​ ​e​ ​non​ ​indebitamente​ ​complicate​. Inoltre lo Stato ha​ anche l’onere di prevedere che queste procedure abbiano ​costi​ ​ragionevoli​ ​e​ ​proporzionati al tipo di attività ​, oltre​ ​che rapide​ ed​ ​assoggettate​ al​ ​principio​ ​amministrativo dell’approvazione mediante​ ​silenzio​ ​assenso.

Nonostante il fallimento di questo DDL definitivamente considerato non adeguato, i tentativi di regolamentare il settore sono continuati: il 12 luglio 2018 la deputata del Pd Sara Moretto ha presentato un nuovo progetto di legge ordinaria intitolato “Disciplina dell’attività di Home Restaurant”. Anche questa proposta, tuttavia, non è sfociata in un provvedimento legislativo vero e proprio ed è rimasta abbandonata.

Il Parere del Ministero dell’Interno 

Il settore dell’Home Restaurant ha conosciuto un’importante svolta grazie al parere del Ministero dell’Interno ottenuto per il tramite della Questura di Reggio Calabria.

Con una grande apertura per il settore, recependo gli indirizzi e le sollecitazioni dell’Unione Europea, il 1° Febbraio del 2019 il Ministero dell’Interno ha escluso che l’Home Restaurant possa essere ricondotto alla Ristorazione classica, con conseguenze importanti per la disciplina dell’attività. 

Difatti, l’attività di Home Restaurant presenta caratteristiche ben individuate:

1. Lo svolgimento dell’attività in un ambiente non adibito ad esercizio pubblico

2. Il rivolgersi dell’attività ad un tipo particolare di pubblico c.d. “distinto” ossia che arriva all’Home Restaurant solo su prenotazione

3. L’occasionalità dell’attività, il che in mancanza di disposizioni precise di legge deve tradursi nel dato di 3 aperture settimanali. 

Le caratteristiche dell’attività di Home Restaurant

Lo stesso parere chiarisce che, sussistendo questi presupposti, l’Home Restaurant è un’attività che non soggiace alla normativa prevista per la ristorazione classica.

Questo però non esclude che gli Home Restaurant, costituendo punti di interesse rilevanti sul territorio, debbano essere opportunamente segnalati alla Pubblica Sicurezza con specifica dichiarazione ex art. 16 del TULPS.

Il Caso. La Sentenza N. 139/2019 del Giudice di Pace di San Miniato

Per il momento la questione degli Home Restaurant è stata raramente trattata dalle corti italiane. La pronuncia più recente, e postuma rispetto il parere del Ministero dell’Interno, è la N. 139/2019 del Giudice di Pace di San Miniato.

Nel caso specifico, il Giudice ha condannato il Comune di Montopoli che aveva emanato una ordinanza di chiusura per un Home Restaurant con relativa multa.

All’Homer veniva contestato l’avvio di un Home Restaurant senza aver presentato la pratica di SCIA.

Il Giudice di Pace riconosce la mancanza di necessità di presentazione di SCIA per l’apertura di un Home Restaurant.

Gli Home Restaurant evadono le tasse?

Una delle critiche più frequentemente mosse nei confronti degli Home Restaurant è quella di essere delle realtà economiche “sommerse” che evadono le tasse eludendo le normative.

Non è prevista nel nostro ordinamento una disciplina specifica per il comparto, ma anche in questo caso una lacuna non si traduce automaticamente in illegalità.

Difatti, occorre far riferimento al regime fiscale previsto nel nostro ordinamento per i REDDITI OCCASIONALI.

La disciplina delle Prestazioni Occasionali

Quando l’attività lavorativa è occasionale, saltuaria o di ridotta entità si parla di prestazioni occasionali ex. art. 54-bis del Decreto legge n. 50/2017, convertito dalla Legge n. 96/2017.

La prestazione occasionale è caratterizzata da un limite economico ben individuato di 5.000€ nel corso di un anno civile.

Nel caso in cui il prestatore rientri in una di queste categorie: pensionati, studenti fino ai 25 anni, disoccupati e percettori di prestazioni di sostegno al reddito, il limite massimo netto sale a 6.666€

L’Home Restaurant dovrà altresì rilasciare Ricevuta, alla quale dovrà essere apposta Marca da Bollo del valore di 2€ nel momento in cui superi la somma di 77,47€.

Gli Home Restaurant difatti devono conservare evidenza delle spese sostenute per l’attività di Social Eatingtali spese dovranno essere sottratte dalle entrate percepite ed il netto così ottenuto dovrà essere opportunamente dichiarato in apposita sezione della Dichiarazione dei Redditi.


sabato 30 gennaio 2021

mortandela ......

Ha la forma di una pagnottella, è fatta con la pasta di salame ma non è un insaccato. Ha una enne in più e una elle di meno della notoria mortadella, con la quale non ha niente da spartire. È la Mortandela affumicata della Val di Non, e appare nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) del Trentino. Per la precisione, la Mortandela è segnalata anche in Val di Sole, anche se la produzione in questo territorio è limitatissima. Siamo in montagna: le due valli corrono a nord-ovest di Trento, a forbice fra loro, separate dal gruppo del Brenta e da quello dell’Adamello con Madonna di Campiglio al centro. Si ricongiungono all’altezza di Cles. Per questo, nonostante oggi sia un prodotto ricercato, la Mortandela affumicata della Val di Non nasce come cibo umile e anti spreco.

Un tempo povera, ora preziosa

Nell’economia di una popolazione che viveva con quello che la montagna poteva offrire, era logico cercare tutti gli stratagemmi per non buttare via niente, specie se del maiale. Poiché un tempo i salumi erano fatti solo col budello naturale, quando non bastava occorreva pensare ad altro: si utilizzava l’omento dell’animale, quella rete fatta di venuzze di grasso che serve per tenere a posto i visceri. Molte ricette con i fegatelli utilizzano questo sigillatore naturale. Anticamente la mortandela conteneva le parti meno pregiate dell’animale, interiora comprese, che venivano lavorate come la carne, si macinavano, si aggiungeva il  grasso poi si insaporiva il tutto  con aromi. C’è qualche produttore del territorio che ha intenzione di riproporla come curiosità, magari sotto le feste natalizie. La versione attuale è più raffinata.


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Di solito si utilizzano le rifilature della lavorazione della coscia e della spalla, la fesa e il grasso della pancetta. All’impasto si aggiungono gli aromi: pepe, aglio, cannella e pimento. Lo si prende fra le mani e gli si dà la forma di pagnottella, premendo bene per far uscire l’aria. A seconda della grandezza delle mani del norcino si possono avere pezzature che vanno dai 200 ai 300 grammi, comode da portare nella bisaccia.

L’affumicatura della Mortandela

Poi si avvolgono nell’omento che è prima ammollato in acqua tiepida e si lasciano asciugare per una giornata. C’è un detto popolare che ricorda che con una rete di maiale se ne possono fare 28. In alternativa alla rete, le pagnottelle sono cosparse di farina di granturco che funge da isolante e deumidificatore. Ora è il momento dell’affumicatura con legno di faggio, più dolce, e con quello di ginepro, un filino più aromatico. Questo procedimento dura all’incirca una giornata e dà una nota di fumo molto leggera. Segue infine la stagionatura, che va dal mese e mezzo ai tre mesi, non oltre.

Fresca in padella o alla griglia

In autunno, durante le preparazione dei crauti, la mortandela si apprezza fresca. Servitela tagliata a fette e passata in padella, oppure grigliata. Molte ricette, inoltre, la utilizzano alla stregua della salsiccia nei risotti, o meglio nell’orzotto. Alcuni agriturismi ne producono piccoli quantitativi con animali propri. Esiste un protocollo di produzione per i prodotti marchiati Qualità Trentino. Tuttavia solo i produttori appassionati e rispettosi del prodotto hanno scelto di lavorare maiali nati e allevati in Trentino e di usare solo il salnitro quale conservante, come una volta. Per avere una panoramica golosa del prodotto ci si può recare a Tassullo. Qui, ogni anno, la terza settimana di ottobre si svolge una festa in cui si premia la migliore mortandela.

lunedì 18 gennaio 2021

salumi e nitriti/nitrati

Parliamo di Salnitro e vari nitrati...

NITRATI/NITRITI NEI SALUMI: COSA SONO E A COSA SERVONO? 
E PER QUANTO RIGUARDA I SALUMI BIOLOGICI, CI SONO DELLE DIFFERENZE? FACCIAMO CHIAREZZA!
Parola all'esperto  Alessandra Bordoni, Sicurezza Alimentare

Quando si parla di salumi, molto si discute sulla presenza di sostanze conservanti quali nitrati e nitriti. Ma è vero? E in che misura? E nei salumi biologici ? Proviamo a fare chiarezza!
Innanzitutto occorre spiegare cosa sono i NITRATI e i NITRITI.
I NITRATI sono sostanze naturalmente presenti negli alimenti animali, vegetali e nell’acqua potabile. Gli alimenti che contengono naturalmente la quantità maggiore di nitrati sono le bietole e il sedano, seguiti dalle rape e dagli spinaci.
Diverse categorie di nitrati sono utilizzati dall’industria alimentare come conservanti di categoria E, coloranti e antiossidanti per diversi alimenti, particolarmente nella carne processata (salumi, wurstel, carni in scatola), i pesci marinati e a volte anche nei prodotti caseari.
Sono indicati nelle etichette con le sigle E251 ed E252. Il loro impiego è principalmente dovuto al fatto che i nitrati sono al momento l’unica alternativa nota per contrastare la germinazione delle spore di Clostridium botulino , una delle più gravi forme di infezione alimentare dall’esito mortale, che può soltanto essere prevenuta.
I nitrati di per sè sono innocui, ma in particolari condizioni (calore, batteri, lunga conservazione) possono trasformarsi in nitriti e questi in nitrosammine.
Gli alimenti contenenti naturalmente nitrati contengono anche vitamina C, che limita la trasformazione in nitrosammine.

I NITRITI sono conservanti identificati dalle sigle E249 ed E250. Sono considerati sostanze potenzialmente pericolose perché in ambiente acido (ad esempio nello stomaco) si trasformano in acido nitroso, che dà origine alle nitrosammine, composti ritenuti cancerogeni.
Inoltre i nitriti si legano all’emoglobina, ossidandola a metaemoglobina e quindi riducendo il trasporto di ossigeno ai tessuti.

MA VENIAMO IN PARTICOLARE AI SALUMI
Secondo l’aggiornamento dei dati di composizione dei salumi italiani redatto dal Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione – CREA-NUT (http://nut.entecra.it/718/SALUMI_ITALIANI__aggiornamento_dei_dati_di_composizione.html), i nitrati sono assenti nel prosciutto crudo. Nel salame invece la quantità di nitrati varia da 29 a 14 ppm, a seconda della tipologia e nella mortadella il contenuto è mediamente 11 ppm.
Per quanto riguarda i nitriti invece, questi sono totalmente assenti nel prosciutto crudo, così come nel salame e nella mortadella. Nel prosciutto cotto invece, la presenza di nitriti varia da 5 a 8 ppm, a seconda dal tipo di processo utilizzato per la produzione.

Un Decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 Giugno 2016 (Decreto 26 maggio 2016 -Modifiche al decreto 21 settembre 2005 concernente la disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti di salumeria. (16A04808) -GU Serie Generale n.149 del 28-6-2016) ed entrato in vigore 26 Settembre 2016 introduce alcune modifiche sulla produzione e la vendita dei prodotti di salumeria in Italia.

Diverse le novità: per il prosciutto cotto viene vietato l’utilizzo di nitrati (di sodio o potassio), non più ammessi nei prodotti a base di carne trattati termicamente secondo la Direttiva 2006/52/Ce; non sono inoltre ammessi altri additivi, se non quelli consentiti dal Regolamento 1333/2008 purché rispondano a una reale necessità tecnologica, non inducano in errore i consumatori e il loro utilizzo presenti un reale vantaggio.
Il decreto fornisce dunque un’altra importante precisazione:
l’impiego di ingredienti che apportano nitrati, nitriti o entrambi in modo da ottenere effetto conservante, si configura come impiego di additivi alimentari e non consente di vantare l’assenza di conservanti. Sulla base di quanto disposto dalla Commissione europea nella nota del 12 gennaio 2007 “Utilizzo di estratto di spinaci ad alto contenuto di nitrato nei prodotti a base di carne”, tale pratica si configura come utilizzo deliberato di additivo alimentare, qualora l’estratto di spinaci o di altri vegetali sia utilizzato con lo scopo tecnologico finalizzato alla conservazione del prodotto finito.
Questo è un importante passo avanti per la tutela del consumatore, al fine di evitare l’acquisto di prodotti che sono ritenuti completamente assenti di nitriti e nitrati per via della dicitura “senza conservanti”, ma che in realtà li contengono (l’estratto di spinaci appunto), nascosti da altra dicitura (ad esempio: “Aromi naturali” e/o “Additivi naturali”).

Ma perché dunque vengono usati i nitrati/nitriti? I motivi sono molteplici:

In primis svolgono azione antimicrobica e antisettica, soprattutto nei confronti del botulino, come già detto sopra
Inoltre stabilizzano il colore rosso delle carni (in particolare nel prosciutto cotto se non si usassero, il prosciutto cotto avrebbe colore grigio!);
favoriscono lo sviluppo dell’aroma agendo selettivamente nei confronti dei microorganismi che determinano la stagionatura dei salumi;
FATTA QUESTA DOVUTA PREMESSA, VEDIAMO QUALI SONO LE DIFFERENZE NEI SALUMI BIOLOGICI PER QUANTO RIGUARDA L’USO DEI CONSERVANTI.
Per garantire anche nei salumi biologici la corretta conservazione del prodotto, la sua salubrità microbica e batteriologica e quindi non mettere a rischio la salute del consumatore, in special modo in prodotti quali il prosciutto cotto e la mortadella che non essendo stagionati sono più facilmente deperibili ed aggredibili da microbi e batteri , l’aggiunta di conservanti, nitrati/nitriti, è consentita, ma ad un contenuto molto più basso rispetto ai prodotti convenzionali: parliamo di 80 mg per kg di prodotto nei salumi biologici con un massimo di 50 mg per kg di residuo ammesso contro i 150 mg per kg di prodotto e senza obbligo di indicazione di residuo dei salumi convenzionali. Una bella differenza!
Senza considerare poi che anche a monte la materia prima impiegata, cioè la carne proveniente da allevamenti di suini biologici presenta già notevoli differenze: i suini devono essere allevati su terreno biologico, nutriti con mangimi biologici e , quando serve, curati con trattamenti fitoterapici.

CONSIDERAZIONI FINALI:
L’uso dei conservanti/additivi nei salumi biologici è strettamente limitato rispetto al normale utilizzo nei rispettivi salumi ottenuti con metodo convenzionale; tale limitazione riguarda la loro composizione, la quantità immessa e la modalità d’uso.
Detto ciò, pur dovendo rispettare i livelli di soglia massima consentiti dalla normativa biologica, i produttori di salumi biologici possono scegliere di utilizzare meno conservanti rispetto a quelli previsti, senza naturalmente inficiare la salubrità del prodotto e la sua corretta conservazione.
Ecco perché anche quando compriamo un salume biologico possiamo valutare le differenze: leggendo bene e confrontando le etichette, informandoci sul produttore e sulla provenienza delle carni, per essere certi di fare la scelta migliore.